Ingegneria
La ricerca tecnica e scientifica è supportata costantemente all’applicazione dell’ingegno al fine di risolvere problematiche, anche complesse, in diversi campi del sapere umano nel quale opera la ERREQUADRO. Ovviamente, l’applicazione dell’ingegno, l’ingegneria, è fondamentale quando si parla di realizzare le nostre architetture.
Infatti, l’architettura del terzo millennio sarà realizzata anche con l’apporto di tecniche costruttive individuate e sperimentate all’interno di una ricerca tecnologica sempre più avanzata che individuerà processi e metodi per ottimizzare la produzione edilizia, riferibile agli aspetti di globalizzazione della nostra cultura. Tuttavia, come è stato ampiamente verificato dalle esperienze “radical” degli anni ‘sessanta e ‘settanta, le quali hanno portato alle estreme conseguenze i dettami ed i rapporti fra la forma e la tecnologia impliciti nell’architettura “futurista”, “costruttivista” e “funzionalista”, sviluppati nella prima parte del ‘novecento e confluiti nell’internazionale del movimento moderno, la definizione dell’architettura in funzione delle innovazioni tecnologiche porterebbe ineluttabilmente alla scomparsa dell’architettura stessa.
L’applicazione tecnologica della meccanica quantistica, della matematica frattale e di chi sa quale altra forma di innovazione possa essere introdotta dalla ricerca scientifica, porterà inevitabilmente, nel corso di pochi anni, alla possibilità di controllo degli aspetti che rispondono alle esigenze materiali dell’abitare, quali il microclima, la comunicazione e l’orientazione, realizzabile esclusivamente con elementi immateriali, appartenenti al “non-luogo”, che non hanno niente a che fare con la costruzione – fortunatamente neanche con la de-costruzione – di uno spazio fisico che possa costituirsi come “luogo” di riferimento all’azione antropica nell’ambiente.
Per le caratteristiche fisiologiche e psicologiche dell’Homo Sapiens ciò è inconcepibile, al fine di accettare culturalmente un universo senza architettura sarebbe necessaria una mutazione genetica della nostra specie tale da poter rinunciare, per la propria sopravvivenza, alla Stabilitas a cui fanno riferimento il Protagora di Platone, il Caino dell’Antico Testamento ed in generale, anche con forme anche molto differenti fra loro, la mitopoietica delle culture arcaiche, indipendentemente dal tempo e dallo spazio in cui queste si manifestano, anche quelle con spiccate caratteristiche nomadi per le quali il sistema di riferimento muta frequentemente. La necessità della Stabilitas ha portato alla fondazione delle città ed alla formazione dell’architettura per conseguire la sopravvivenza della specie Homo Sapiens.
Gli ingegneri del terzo millennio hanno la grossa responsabilità di individuare la tecnica idonea a produrre, nel senso implicito nel termine “póiesis”, architetture e costruzioni capaci di gestire la tecnologia avanzata che saremo in grado di sviluppare. Proprio la dimensione connessa con la globalizzazione della cultura e del sapere portano alla ricerca di un apparato tecnico basato su aspetti connessi con l’ermeneutica dell’ambiente antropico e dei luoghi specifici. La dinamicità, la mutabilità e il carattere effimero della tecnologia del terzo millennio non potranno incidere, se non marginalmente, nella formulazione teorica della nuova architettura e della nuova città.
La ricerca tecnica e scientifica è supportata costantemente all’applicazione dell’ingegno al fine di risolvere problematiche, anche complesse, in diversi campi del sapere umano nel quale opera la ERREQUADRO. Ovviamente, l’applicazione dell’ingegno, l’ingegneria, è fondamentale quando si parla di realizzare le nostre architetture.
Infatti, l’architettura del terzo millennio sarà realizzata anche con l’apporto di tecniche costruttive individuate e sperimentate all’interno di una ricerca tecnologica sempre più avanzata che individuerà processi e metodi per ottimizzare la produzione edilizia, riferibile agli aspetti di globalizzazione della nostra cultura. Tuttavia, come è stato ampiamente verificato dalle esperienze “radical” degli anni ‘sessanta e ‘settanta, le quali hanno portato alle estreme conseguenze i dettami ed i rapporti fra la forma e la tecnologia impliciti nell’architettura “futurista”, “costruttivista” e “funzionalista”, sviluppati nella prima parte del ‘novecento e confluiti nell’internazionale del movimento moderno, la definizione dell’architettura in funzione delle innovazioni tecnologiche porterebbe ineluttabilmente alla scomparsa dell’architettura stessa. L’applicazione tecnologica della meccanica quantistica, della matematica frattale e di chi sa quale altra forma di innovazione possa essere introdotta dalla ricerca scientifica, porterà inevitabilmente, nel corso di pochi anni, alla possibilità di controllo degli aspetti che rispondono alle esigenze materiali dell’abitare, quali il microclima, la comunicazione e l’orientazione, realizzabile esclusivamente con elementi immateriali, appartenenti al “non-luogo”, che non hanno niente a che fare con la costruzione – fortunatamente neanche con la de-costruzione – di uno spazio fisico che possa costituirsi come “luogo” di riferimento all’azione antropica nell’ambiente. Per le caratteristiche fisiologiche e psicologiche dell’Homo Sapiens ciò è inconcepibile, al fine di accettare culturalmente un universo senza architettura sarebbe necessaria una mutazione genetica della nostra specie tale da poter rinunciare, per la propria sopravvivenza, alla Stabilitas a cui fanno riferimento il Protagora di Platone, il Caino dell’Antico Testamento ed in generale, anche con forme anche molto differenti fra loro, la mitopoietica delle culture arcaiche, indipendentemente dal tempo e dallo spazio in cui queste si manifestano, anche quelle con spiccate caratteristiche nomadi per le quali il sistema di riferimento muta frequentemente. La necessità della Stabilitas ha portato alla fondazione delle città ed alla formazione dell’architettura per conseguire la sopravvivenza della specie Homo Sapiens.
Gli ingegneri del terzo millennio hanno la grossa responsabilità di individuare la tecnica idonea a produrre, nel senso implicito nel termine “póiesis”, architetture e costruzioni capaci di gestire la tecnologia avanzata che saremo in grado di sviluppare. Proprio la dimensione connessa con la globalizzazione della cultura e del sapere portano alla ricerca di un apparato tecnico basato su aspetti connessi con l’ermeneutica dell’ambiente antropico e dei luoghi specifici. La dinamicità, la mutabilità e il carattere effimero della tecnologia del terzo millennio non potranno incidere, se non marginalmente, nella formulazione teorica della nuova architettura e della nuova città.